Sindrome di burnout: alla scoperta del “male” che colpisce i medici

Sindrome di burnout: alla scoperta del “male” che colpisce i medici 

 
Lo studio è americano e la pubblicazione anche, ma il problema, data l’origine e lo sviluppo, può sicuramente riguardare tutto il mondo, medici italiani compresi.
 
Certo non è ancora molto conosciuto e, sul tema, non ci sono studi certi, ma conviene alzare un faro sulla questione per capire di cosa si sta parlando.
 
La sindrome di burnout è l’esito patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, gli operatori e i professionisti che sono impegnati quotidianamente in attività che implicano le relazioni interpersonali.
 
Dalla definizione è facile dedurre che riguardi diversi tipi di mestieri ma, se ragioniamo sul tema di stretta attualità, ci si deve fermare per forza sulla classe medica, quella che maggiormente è stata a contatto costante con le persone e che, stando alla pubblicazione statunitense, ha prodotto risultati devastanti.
 
È il Dottor Price, su MedPage, a parlare di questo fenomeno.
 
Da una parte sembra esserci un segnale di sollievo per il vedere una pandemia sempre più vicina alla sconfitta, ma lo sforzo dei medici, profuso nella cura dei pazienti, rischia di diventare una vera e propria emergenza psicologica, tra stanchezza, disturbo da stress post traumatico e burnout, appunto.
 
 

Sono tanti i medici che hanno visto, nel corso di un anno e mezzo, un numero di morti superiore a quanti visti in un’intera carriera, o hanno dovuto affrontare pazienti con traumi troppo grandi per essere superati in poco tempo. 

 
Insomma qualcosa che lascia il segno anche in chi, di solito, è visto come il supereroe che non viene toccato da nulla. Ma, si sa, i medici non sono di ferro, sono di carne e ossa e quindi passibili degli stessi problemi di tutti con le conseguenze che possono toccare tutti.
 
Condizioni di lavoro difficili, basti pensare alla mancanza dei dispositivi di protezione, la cura di pazienti con condizioni di criticità lunghe, compiti amministrativi sempre più gravosi, orari lunghi e la morte dei pazienti: tutti fattori che condizionano anche la mente di un medico che, però, difficilmente si affida a un collega per affrontare la problematica psicologica.
 
In un sondaggio, nel 2020, quasi il 60% dei professionisti della sanità americana hanno riferito di aver sperimentato elementi di burnout, ma solo il 13% si è affidato a qualcuno per un problema di salute mentale legato alla pandemia.
 

Un problema che, se non trattato, può condurre a depressione, ansia, PTSD, uso di sostanze, fino a pensieri di suicidi. 

 
Non solo questioni personali, però, perché un medico in pessimo stato di salute mentale può avere effetti devastanti sull’accesso, qualità e costi ell’assistenza sanitaria.
 
Non è un problema di poco conto, ma soprattutto è un problema che riguarda ogni songolo medico. C’è una barriera da superare ed è quella del medico stesso che non ammette la sua condizione, non si affida a colleghi per la risoluzione del problema e, in alcune circostanze, arriva a soluzioni tanto estreme quanto evitabili.
 
Non deve far paura parlare della salute mentale dei medici, anzi, sarebbe opportuno normalizzare un sistema di supporto psicologico, affidarsi senza quella sensazione di vergogna, perché non si può sapere quando il vaso potrà traboccare di fronte a qualsiasi evento negativo, che può sempre capitare.
 
È la sorte di chi svolge un mestiere così bello e difficile allo stesso tempo. Sapere di avere un supporto e decidere di potersi affidare a qualcuno è già il primo passo verso il superamento della fase di burnout.

 

 

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